L’Azienda Agricola Giovanetto, che ho avviato nel 2004, ha una storia relativamente recente, ma con solide radici nel passato, fondata specificatamente per proseguire l’attività di viticoltura nella rocciosa regione Piole della frazione Montestrutto nella parte più meridionale di Settimo Vittone. Attività che rischiava di scomparire in seguito alla morte prematura di mio padre Alberto, che conduceva in maniera hobbistica vigneti su terrazzamenti appartenenti da generazioni alle famiglie Giovanetto e Ferragatti (Felicina Ferragatti, “la Nina”, la bisnonna grande viticoltrice) e che aveva incrementato acquistando, a partire dagli anni Ottanta, terreni vitati adiacenti ai propri, destinati all’abbandono. Nel 2003 disponeva già di circa due ettari di vigneti terrazzati nella fascia tra 300 e 350 metri s.l.m. (il fondovalle è a quota 260 metri s.l.m.). I terrazzamenti e i vari manufatti in pietra della regione Piole, analogamente a tutta l’area terrazzata di Settimo Vittone e Carema, risalgono all’età medioevale, tuttavia antichi documenti ascrivono la viticoltura locale all’epoca romana. Già nel primo catasto, di epoca napoleonica (libro campagnolo 1770), compaiono particelle catastali, praticamente coincidenti con le attuali, ascritte ai nomi Giovanetto e Ferragatti e ad altri proprietari, soprattutto di Nomaglio, piccolo borgo a monte dell’allora comune di Montestrutto.
Quando ho ereditato i vigneti da papà Alberto, ho deciso di proseguire l’ambizioso sogno paterno, ma l’estensione della vigna era ormai tale per cui l’attività doveva essere necessariamente a titolo principale. Ho costituito perciò formalmente l’azienda agricola, dismettendo il lavoro di manager nell’industria. A seguire ho iniziato costosi investimenti per l’acquisto di attrezzature specifiche per la cantina e macchine agricole, oltre che per creare quelle opere infrastrutturali fondamentali per consentire di accedere ai terrazzamenti anche con piccoli trattori e attrezzature.
Il mio principale obiettivo è la coltivazione del nebbiolo picotener, come da antica tradizione: le piante giovani sono ancora messe a dimora a mano con la vanga come un tempo, indirizzando le radici dove c’è più terra. Per conseguire elevati livelli di qualità, conduco una gestione delle viti che riduce moltissimo la produzione in termini quantitativi di uva (le rese non raggiungono i 50 quintali/ettaro). Il lavoro estivo per il controllo delle avversità segue le regole della lotta integrata che mi permette di ridurre al massimo l’utilizzo di agrofarmaci e di evitare in modo assoluto l’impiego di diserbanti; gli sfalci del taglio dell’erba restano al piede delle viti come concime, insieme ai residui di trinciatura della potatura invernale.
Riservo una particolare cura alle viti molto vecchie, rimaste un po’ qua e un po’ là, di neretto e vernassa, a testimoniare i tagli che facevano già anticamente i nostri avi al nebbiolo, che non tutti vinificavano in purezza assoluta.
La gestione estiva del vigneto mi consente di ottenere uve sane che in vendemmia sono poi raccolte e adagiate in cassette per essere portate subito in cantina dove, dopo una pigia-diraspatura soffice, sono avviate alla fermentazione a temperatura controllata. Massima igiene in cantina e il controllo delle temperature durante tutto l’anno mi permettono di perseguire un miglior risultato.
Sono passati molti anni dai tempi in cui la vinificazione avveniva nel balmetto, tipica cantina della frazione di San Germano a Borgofranco d’Ivrea, ma il balmetto di zia Silvia, datato 1836, ancora vive! A fianco delle vecchie botti dismesse trovano posto dei tonneau in rovere, dove affina il nebbiolo. La temperatura del balmetto è quella della montagna a ritroso, che anche in piena estate non raggiunge i 15°C: una climatizzazione di tutto rispetto, naturale e a costo zero! Il balmetto, fiore all’occhiello dell’azienda, è una bellissima struttura atta all’accoglienza di amici e clienti per poter degustare un bicchiere di vino nel silenzio e nella pace più assoluta in un borgo unico, fatto solo di cantine.