Piole, il nucleo terrazzato di Montestrutto ai confini con Nomaglio, da sempre è noto per la produzione di uve di elevata qualità da cui si è sempre ricavato vino di pregio. Proprio per questo motivo queste vigne sono sempre state molto ambite e oggetto di polverizzazione fondiaria, che ha comportato la suddivisione in lotti di piccola estensione, da 1000 m2 fino ad un massimo di 2500 m2 di superficie.
Ancora oggi, come faceva mio padre, identifico ogni singolo vigneto con il nome o soprannome del suo conduttore storico: è così che si parla della vigna di barba Tunin, la vigna della Nina, di Ricu, di Nicanor, del Dondolo e così via. Ogni vigna porta in dotazione la filosofia dei suoi vecchi proprietari, palpabile percorrendo le pergole: le diverse tecniche costruttive delle strutture, la scelta dei cloni, l’utilizzo di materiali anche alternativi.
Così, fino a che esisteranno, queste vigne racconteranno la storia del meticoloso Pin d’Ariun, che in angoli con molta roccia creava strutture di ferro imbullonate; o di Edi, che costruiva pergole utilizzando il legno di acacia (gasia in gergo locale) accuratamente tagliato e lavorato col pialletto a mano al posto del consueto castagno selvatico! Piccoli segreti di chi, per esempio, metteva ogni tanto una pianta di vernassa dal picul rus in mezzo al nebbiolo, o del purista del picotener, che impiantava esclusivamente questo clone.
Considero mio impegno prioritario tramandare la storia di queste vigne e dei suoi appassionati conduttori che mi hanno preceduto, oltre a produrre un buon nebbiolo, ricorrendo alle migliori tecniche compatibili con l’ambiente. Raccontare le fatiche che facevano per superare questi dislivelli, salendo passo dopo passo il susseguirsi dei gradini in pietra che collegano i terrazzi a secco, portando sulle spalle tutti i carichi, sia all’andata, con tutti i materiali occorrenti alla conduzione delle vigne, che al ritorno, con le uve nelle gerle. Tramandare alle future generazioni la grande soddisfazione di barba Tunin e Pin d’Ariun che si associavano negli anni Cinquanta per costruire la prima teleferica che permetteva loro di superare un dislivello di 80 metri raggiungendo la pianura sottostante.
Auspico di aver saputo interpretare correttamente lo spirito di chi mi ha preceduto in questa attività di viticoltore di montagna e coltivo la speranza di continuare ad adottare le scelte tecnologiche giuste per adeguare queste preziose vigne ai tempi attuali.